giovedì 8 dicembre 2011

te piace 'o presepe? tempo di lettura previsto 1'58"

a me moltissimo.
mi piace tanto che, quando ero piccola, aspettavo la mattina dell’8 dicembre ancora più della notte della vigilia.
mi piace che a casa cominciavamo a comprare il panettone –rigorosamente ‘motta’- almeno una settimana prima perché il cartone serviva per fare la capanna
mi piace che papà non andava al lavoro e che alle nove di mattina lo trovavo già a smanettare con acqua e farina.
e mi piace anche ricordare quell’odore, anche se tecnicamente era una puzza.
e poi mi piace che stavo in piedi sulla sedia a schiacciare i grumi di questa colla puzzona e che appena si raffreddava diventava una roba inservibile, quindi bisogna far presto.
mi piace che mamma si metteva da parte e ci guardava –felice- giocare.
mi piace che me ne stavo seduta a terra a tagliare i giornali per fare la cartapesta e che mi ritrovavo tutte le mani nere, dopo.
e che quei giornali e quella colla e le spoglie del panettone, si trasformavano in pochi ore in un angolo di mondo lontano e brullo.
mi piacevano le mani grandi di papà che davano vita a montagne, rocce, grotte, ruscelli e io che guardavo avida e smaniosa e non capivo come.
mi piace che prendevo le mie tempere ‘giotto’, un pennello scadente e, con zelo, iniziavo a mescolare verde e marrone in un improbabile camouflage ma tanto poi la tempera è trasparente e quindi alla fine comunque, da sotto, si leggevano i titoli del giornale.
mi piace che il sughero sembrava solenne, ma invece poi era leggerissimo.
mi piace che quando ci mettevamo a provare le serie di pisellini –qui mamma collaborava però- ci distribuivamo strategicamente per il corridoio, braccia alzate per non far cadere le luci per terra, ma che tanto sempre se ne fulminava qualcuna.
e poi mi piace che quando si apriva la scatola dei pastori era una festa: il gruppo santo, i magi, ciccibacco, benino, gli angeli, le pecore, la lavandaia, l’osteria.
l’osteria era la mia preferita. mi piace che c’era un cuoco vestito alla maniera d’oggi: col cappello, il grembiule e il fazzoletto rosso al collo.
e poi una pastorella che dava da mangiare a una capretta, aveva una faccia bellissima.
mi piace che usavo chilometri di carta argentata per fare –male- un ruscello di pochi centimetri, e che alla fine non c’era mai spazio per mettere i tre tipi che accompagnano i re magi –che infatti credo non abbiano mai avuto il bene di stare sul nostro presepe-.
mi piace che nascondevo gesù bambino nei posti più improbabili e andavo di continuo ad assicurarmi che stesse sempre lì.
mi piacevano le pecore, decine, centinaia, sistemarle ovunque. e le case sbilenche, sempre troppo piccole rispetto ai pastori che comunque la testa arrivava al tetto.
e poi mi piace che, siccome attraverso cablaggi surreali i pisellini dovevano  illuminare i punti più strategici del presepe, si passava almeno un’ora ad accendere e spegnere le luci –anche qui mamma collaborava, si vede che c’ha il karma illuminotecnico- e insomma, era bello. 
ma la magia più grande era abbassare le tapparelle, accendere le luci, e mettersi tutti e tre  a guardarlo da lontano.
che questa cosa non c’è più, invece, non mi piace.