sabato 7 dicembre 2013

tanto il telefono non squilla più. tempo di lettura previsto 3'01"


mia nonna mi racconta spesso un episodio che trovo agghiacciante: alla vigilia di quello che doveva essere il veglione della sua vita, lei, fantastica e giovanissima, fasciata nel vestito più bello della storia dei vestiti belli, velluto nero con lo strascico e non so quale specie di bestia ricamata con i cristalli, ha aspettato tre giorni e tre notti che quel criminale del marito -mio nonno- si degnasse di andarla a prendere. superate le 72 ore, rassegnata, stizzita, trucco sfatto e capelli irrecuperabili, tra le lacrime si spoglia, ripone il vestito -che finisce per diventare l'abito di scena di una cugina soprano al san carlo- e riaccoglie in casa, con lo stesso sorriso conciliante di sempre, naturalmente senza fare domande, il criminale di cui sopra.
l'avrò sentita mille volte questa storia e ogni volta si rinnova in me un senso di frustrazione incontrollabile, di dolore, di rabbia, e di odio per quell'uomo che le ha fatto un male così stupido e gratuito. ma poi dici va bene, erano gli anni '50, così andavano le cose, quella poi che doveva fare? se diceva una parola acchiappava pure i buffi. invece oggi.
invece oggi non è cambiato proprio niente. continuo a confrontarmi sul tema con amiche più o meno care, conoscenti, compagne di una sera, e tutte, ma veramente tutte abbiamo una storia simile da raccontare, più o meno madornale, più o meno patetica, più o meno incredibile. penso a P. decolletè da urlo, zigomi perfetti, che il giorno del suo 23esimo compleanno aspetta tutta preparata il ragazzo che la va a prendere, sto all'uscita di via cilea, dice, mò vengo. P. oggi ha 35 anni e si è persuasa che il vomero quella sera e sempre, patisce assai il problema del traffico, visto che del tipo manco più l'ombra. oppure a C. protagonista del più classico degli abbandoni, quello che avviene sull'altare tra la meraviglia dei presenti. e ancora a S. che non riuscirà mai più ad andare al cinema senza temere che tra primo e secondo tempo il suo accompagnatore di turno sparisca nel nulla per andare a comprare una coca. O a L. bella come il sole, intelligente, ironica, che dopo una notte di passione oggi è una bella giornata di sole ti va se andiamo a mangiare una cosa vicino al mare? sì dai, bello. stiamo a dicembre e L. ancora deve levare il pareo da dentro alla borsa. quanto a me, sto aspettando che il padre di mia figlia, venuto a conoscenza del lieto evento, mi richiami per parlarne, per decidere il da farsi. la creatura mò tiene quasi 5 mesi, ma forse il signore ancora non ha avuto modo di fare una ricarica telefonica. tralasciando i casi limite -che si rivelano in realtà meno limite di quanto si creda- la constatazione è amara: ci si ritrova belle e meno belle, giovani e vecchie, dolci e selvatiche, ad aspettare che quel telefono maledetto squilli, e, cosa ancora più grave, a trovare mille inappellabili giustificazioni per il suo silenzio e ad accogliere con rassegnata mollezza -come già mia nonna 60 anni fa-  un eventuale rientro. ma perchè? fiumi di inchiostro sono stati versati sull'argomento, fior fiore di scienziati sono stati chiamati ad illustrare le loro teorie, i salotti televisivi traboccano di maitre a penser, gli psicologi si sono fatti le meglio villette a roccaraso coi soldi che gli abbiamo posato sulle scrivanie, ma niente, non se ne viene a capo. oggi come mille anni fa questi signori si cioncano i ditini e ci precipitano nell'angoscia. deve essere un fatto cromosomico: escono le cure per le peggio malattie, spuntano i cocchi su marte, ma nessun siero miracoloso è stato inventato da iniettare a questi imbecilli a cui permettiamo di fare il bello e il cattivo tempo nei nostri cuori impavidi. lungi da me analizzare oltre dinamiche che chiaramente mi sfuggono e di cui, anzi, sono vittima. vorrei solamente abbracciare virtualmente tutte le mie -tante, tantissime- compagne di sventura e indirizzare un cordiale chitammuorto, a tutti i portatori sani di cromosoma y, nonno compreso.