mia nonna
mi racconta spesso un episodio che trovo agghiacciante: alla vigilia di quello
che doveva essere il veglione della sua vita, lei, fantastica e giovanissima,
fasciata nel vestito più bello della storia dei vestiti belli, velluto nero con
lo strascico e non so quale specie di bestia ricamata con i cristalli, ha
aspettato tre giorni e tre notti che quel criminale del marito -mio nonno- si
degnasse di andarla a prendere. superate le 72 ore, rassegnata, stizzita,
trucco sfatto e capelli irrecuperabili, tra le lacrime si spoglia, ripone il
vestito -che finisce per diventare l'abito di scena di una cugina soprano al
san carlo- e riaccoglie in casa, con lo stesso sorriso conciliante di sempre, naturalmente
senza fare domande, il criminale di cui sopra.
l'avrò
sentita mille volte questa storia e ogni volta si rinnova in me un senso di
frustrazione incontrollabile, di dolore, di rabbia, e di odio per quell'uomo
che le ha fatto un male così stupido e gratuito. ma poi dici va bene, erano gli
anni '50, così andavano le cose, quella poi che doveva fare? se diceva una
parola acchiappava pure i buffi. invece oggi.
invece oggi
non è cambiato proprio niente. continuo a
confrontarmi sul tema con amiche più o meno care, conoscenti, compagne di una
sera, e tutte, ma veramente tutte abbiamo una storia simile da raccontare, più
o meno madornale, più o meno patetica, più o meno incredibile. penso a P. decolletè
da urlo, zigomi perfetti, che il giorno del suo 23esimo compleanno aspetta
tutta preparata il ragazzo che la va a prendere, sto all'uscita di via cilea,
dice, mò vengo. P. oggi ha 35 anni e si è persuasa che il vomero quella sera e
sempre, patisce assai il problema del traffico, visto che del tipo manco più
l'ombra. oppure a C. protagonista del più classico degli abbandoni, quello che
avviene sull'altare tra la meraviglia dei presenti. e ancora a S. che non riuscirà
mai più ad andare al cinema senza temere che tra primo e secondo tempo il suo
accompagnatore di turno sparisca nel nulla per andare a comprare una coca. O a
L. bella come il sole, intelligente, ironica, che dopo una notte di passione oggi
è una bella giornata di sole ti va se andiamo a mangiare una cosa vicino al
mare? sì dai, bello. stiamo a dicembre e L. ancora deve levare il pareo da
dentro alla borsa. quanto a me, sto aspettando che il padre di mia figlia, venuto
a conoscenza del lieto evento, mi richiami per parlarne, per decidere il da
farsi. la creatura mò tiene quasi 5 mesi, ma forse il signore ancora non ha
avuto modo di fare una ricarica telefonica. tralasciando i casi limite -che si
rivelano in realtà meno limite di quanto si creda- la constatazione è amara: ci
si ritrova belle e meno belle, giovani e vecchie, dolci e selvatiche, ad aspettare
che quel telefono maledetto squilli, e, cosa ancora più grave, a trovare mille
inappellabili giustificazioni per il suo silenzio e ad accogliere con
rassegnata mollezza -come già mia nonna 60 anni fa- un eventuale rientro. ma perchè? fiumi di
inchiostro sono stati versati sull'argomento, fior fiore di scienziati sono
stati chiamati ad illustrare le loro teorie, i salotti televisivi traboccano di
maitre a penser, gli psicologi si sono fatti le meglio villette a roccaraso coi
soldi che gli abbiamo posato sulle scrivanie, ma niente, non se ne viene a
capo. oggi come mille anni fa questi signori si cioncano i ditini e ci
precipitano nell'angoscia. deve essere un fatto cromosomico: escono le cure per
le peggio malattie, spuntano i cocchi su marte, ma nessun siero miracoloso è
stato inventato da iniettare a questi imbecilli a cui permettiamo di fare il
bello e il cattivo tempo nei nostri cuori impavidi. lungi da me analizzare
oltre dinamiche che chiaramente mi sfuggono e di cui, anzi, sono vittima.
vorrei solamente abbracciare virtualmente tutte le mie -tante, tantissime-
compagne di sventura e indirizzare un cordiale chitammuorto, a tutti i
portatori sani di cromosoma y, nonno compreso.