gli sciacalli, i finti amici, i salvatori dell'ultim'ora, i
politici di quart'ordine. i padroni del mondo che ti promettono la salvezza, i
predatori, quelli che fino a ieri ti stringevano la mano e adesso fanno finta
di non conoscerti, le mani che sudano, i sorrisi imbarazzati, le pacche sulle
spalle, le mail che non arrivano, le risposte che non arrivano, la società
civile che si indigna per qualche minuto, la stampa amica che promette di mobilitarsi.
i sospetti che si insinuano, guardarsi negli occhi e
scoppiare a piangere, guardarsi negli occhi e scoprire che non siamo tutti uguali, guardarsi negli occhi e
capire che è veramente finita. andare in ufficio in macchina, per l'ultima
volta e caricarla di quello che puoi, di sette anni di lavoro, sette anni di
vita: carte, libri, faldoni, quel ventilatore che l'aria condizionata non ha
mai funzionato, quella stufa che il riscaldamento non ha mai funzionato. e
ancora penne senza tappo, milioni di penne senza tappo, dvd, faldoni, kit di
pronto soccorso, raccoglitori, polvere, cd., e un sacco di ricordi, un sacco di
emozioni.
vecchi impiegati, rifiuti della società che ti salutano
grassi, felici della tua sconfitta, risarciti dalla tua disperazione. l'essere
umano riesce ad essere veramente orribile quando vuole. accanto
ad essi, giovani (?) prostitute di regime, che hanno premura che liberi la
scrivania, la loro nuova scrivania: dureranno pochi mesi, il tempo che si capisca
quanto valgano in realtà o che la loro carica erotica si esaurisca.
e la cattiveria, dio quanta cattiveria, la cattiveria dei
'buoni', la più pericolosa: regalata, sbattuta in faccia con tracotanza,
perfino con orgoglio, anche quando sei un corpo molle e agonizzante. come se
insultare, mortificare, ferire, rendesse più forte chi lo fa, ma calpestare non
restituisce giovinezza o freschezza o salute. i cuori marci, i cuori sporchi,
quelli restano così per sempre.
le forze che sono allo stremo, la stanchezza di un anno di
battaglie e di tribunali e di corse e di false speranze e di false promesse, strette
di mano preelettorali nelle stanze dei bottoni, sentirsela di botto, tutta
sulle spalle. e valutarne il peso e chiedersi cosa farai domani, e rendersi
conto che domani sarà dura, molto dura, perchè non sai far altro che quello, perchè
per anni non hai fatto altro che servire una causa che ritenevi giusta- nonostante
tutto, ti sei affannato a riscattare un privilegio, ripulirti di una macchia, rivestire
di dignità l'indecoroso, difendere l'indifendibile.
ma a nulla sono serviti abnegazione, diligenza, senso del
lavoro, onestà, rispetto dell'altro. tutto è finito in uno scatolone, insieme
ai ricordi e ai fogli e alla spillatrice. tutto è stato dimenticato, il lavoro
svolto, gli sforzi profusi. ti consola solo pensare che non incontrerai più le
facce tremende di colleghe imbarazzanti, il vuoto pneumatico dentro i loro
occhi, ma ti dispiace per giovanni, il macchinista della funicolare che ti
raccontava ossessivamente dei suoi viaggi in brasile e per salvatore, il
ragazzo del bar: lui ci è sopravvissuto.è passato un anno da allora. e un sacco di lacrime e un sacco di paura e un dolore così forte che ti fa piegare in due. la mia vita è più o meno ricominciata, ovviamente lontano da lì. ovviamente da zero. ma nonostante tutto non riesco a dimenticare il torto subito, il furto subito: il furto della speranza, il furto della dignità, il furto del sogno.