giovedì 23 gennaio 2014

sole. tempo di lettura previsto 3'11''

è la prima notte in casa da sole.
quella casa piccola, accogliente, colorata come un gelato, che per tanti anni ho disegnato con la matita della mia immaginazione e che ora ha finalmente una consistenza, un odore di pittura che andrà via solo coi mesi, spazi stretti ma allegri, un armadio ottimisticamente sottodimensionato per due donne.
perchè non lo sai ancora, ma prima che si possa far tempo a crederlo sarai una donna: insisterai per metterti un orribile smalto rosa sulle unghie, avrai un diario al quale racconterai i tuoi piccoli enormi segreti e mi odierai, esattamente come tutti i figli odiano le loro madri, esattamente per le stesse ragioni.
ma finchè la pelle del tuo colo soffice profumerà di borotalco, fino a quando ti addormenterai stringendo un dito della mia mano, fino ad allora mi cullerò nella bellezza di un tempo fermo, sospeso, silenzioso come la nostra casa stanotte. un tempo che ci avvolge e che ci abbraccia, noi due, noi due sole, come quando galleggiavi nuda e perfetta dentro di me e io ti custodivo fiera, senza smettere un attimo di chiedermi quanto bello saresti stata. e lo sei, sei bellissima: lo dicono i tuoi sorrisi larghi e sinceri, quei sorrisi che regali a chiunque senza distinzione di età, sesso, razza. sei felice. che tu possa esserlo sempre figlia mia, che mai nessuno osi strapparti via la gioia di vivere.

dovevi chiamarti viola.
una volta ho letto un libro in cui la protagonista ci chiamava così la figlia, per regalarle dello strumento musicale tutta la grazia e la forza, l'eleganza e la resistenza. mi piaceva questa storia, ma poi è arrivata una gatta prima di te: quella gatta che ti diverte moltissimo veder saltare giù dai mobili, il cui pelo accarezzi sorpresa, i cui occhi metti in serio pericolo ogni volta che ti ci avvicini. e invece ti chiami susanna, come tua nonna, ma devo dire che anche questa storia non mi dispiace affatto: hai il nome di mia madre e il cognome di mio padre, sei una sintesi sublime di amore, quello che mi ha visto nascere, e hai tutto quello che ti serve per provare ad essere felice.

il silenzio si è interrotto: una vicina anziana ma gentile, di cui non ricordo mai il nome ha appena acceso la tv. con un orecchio cerco di capire cosa stia guardando, con l'altro sono concentrata sul tuo respiro pesante reso più faticoso da quel ciuccio di gomma da cui non ti separi mai. mi muovo come un gatto per non far rumore in questa casa senza porte: una scelta da me fortemente voluta ma che solo ora, mentre ho paura di interrompere il tuo sonno giusto anche solo sfogliando le pagine di un libro, si rivela con tutti i suoi limiti.
ecco, ti ho dato un'altra ragione per odiarmi: per tutte le volte che rientrando a casa la sera non potrai fare a meno che io senta il rumore dei tuoi tacchi troppo giovani ed arroganti, per tutte le volte che sarai costretta a farmi ascoltare il contenuto delle tue telefonate, per tutte le volte che prima di uscire non potrai passare le ore a provarti mille vestiti davanti allo specchio. che tu neanche ce l'hai uno specchio.

tua nonna è ottimista, dice che tra una manciata di anni cambieremo di nuovo: che da qualche parte ci aspetta un uomo buono ed accogliente, una casa con delle porte, domeniche serene, passeggiate in campagna, tante risate. 
io non lo so che cosa ci riserva il futuro, ma so che vorrei avesse sempre l'odore di questa notte, di vernice fresca, di lenzuola chiuse per mesi negli scatoloni, del tuo collo, di crema per il viso, del tè bollente che ancora sto sorseggiando mentre ti scrivo dalla tazza di un noto caffè torinese, dei ricordi, della fiducia, dell'emozione di questo ventre di mattoni e calce che ci avvolge entrambe e ci culla e ci proteggerà fino a quando là fuori, da qualche parte, sboccerà una primavera tiepida incontro alla quale andremo senza paura.

martedì 31 dicembre 2013

bidet freddi e altri rimedi. tempo di lettura previsto 3'12"

tengo questo pulciosissimo blog da poco più di tre anni, il suo pubblico di lettori si attesta tra le ottanta e le cento unità e se il contatore delle visite corre come un treno lo devo a mia madre che si compiace di avere una figlia che pratica un italiano discreto, e legge e rilegge i miei post fino a tenerli a memoria. conosco quasi tutti i miei seguaci: amici, amici di amici, parenti. ma da qualche mese ho fatto un nuovo acquisto. un acquisto prezioso che anima la sezione dei commenti, una lettrice che si crogiola nell’insulto anonimo e in barba ad ogni regola di bon ton emette sentenze a suo dire inappellabili, contro me e contro terzi, illudendosi probabilmente di ferirmi in qualche modo. non sono mai stata una scheggia in matematica, ma due più due fa sempre quattro e sono risalita facilmente all’identità della mia accanita follower.
e’ una donna brutta, di quelle che devi definire ‘un tipo’ per immaginartele sessualmente attive. è piccola di statura, è piccola di cuore. ha i denti marci e storti, i capelli unticci, è sciatta, trascurata, le unghie nere, e ha riposto le gioie della sua vita in un povero cane che le fa da figlio, avendo ella superato i quarant’anni senza averne avuto uno. forse è per questo che è così cattiva, perché la vita le ha fatto collezionare solo fallimenti. e per questo non posso che averne compassione.
c’è un flm bellissimo in cui spencer tracy viene accusato di avere il cuore avvizzito come una prugna. e io me lo immagino proprio così il cuore di questa piccola signora: avvizzito, grigio come è grigia la sua pelle, stanco e pesante per tutto il rancore che ella stessa vi coltiva con cura.
ma non è solo avvizzito, è anche ottenebrato e sordo. perché è un cuore che non vede e che non sente l’altro, ma parte a testa bassa per difendere una posizione, una parte, un uomo piccolo come lei, e non conosce ragione, confronto o contraddittorio, ma solo un fondamentalismo cieco, sperando forse, praticandolo, di rafforzarsi in un’identità altrimenti meschina.
ai miei occhi non fa molta presa, devo dire, ma forse al club dei vili di cui fa parte -e di cui ho il privilegio di conoscere altri membri- questa donnetta che senza metterci la faccia (e vi assicuro, è solo un bene che non la vediate) parte a testa bassa e insulta una donna ferita e abbandonata deve sembrare un grande eroe.
io conduco un’esistenza sovraesposta, faccio un sacco di errori, inciampo in mille persone sbagliate, è talmente facile puntarmi il dito contro. ma prima di essere una donna che fa tanti pasticci, sono una donna. e quello che più mi delude in tutta questa faccenda, è constatare quanto pur di aggrapparsi ad un paio di calzoni sdruciti una donna possa fare, è il venire meno di quel principio di solidarietà femminile in cui fortemente credo e che ho il piacere di praticare e vedere praticato quotidianamente.
nessuna donna incinta (neanche la peggiore delle mignotte) merita di essere abbandonata, così come a nessuna donna, a nessun essere umano, si rinfaccia l’impossibilità di concepire dei figli.
per questo sei brutta amica mia, perché pur di essere cattiva con me non guardi in faccia a nessuno, come se insultarmi ti facesse migliore, ti gonfiasse di orgoglio, come se il mio abbandono ti rendesse fiera. e invece resti piccola piccola, sola, col tuo povero cane, le tue unghie sporche e non riesci neanche a brillare di una pallida luce riflessa.

mentre scrivo mi diverto a pensare a quale sarà la tua reazione: stanata sparirai per la vergogna oppure continuerai ad agitare nel vuoto le tue stupide braccia? sono pronta a leggere la sequela di insulti che la tua squallida penna vorrà riservarmi. pronta e curiosa di vedere quanta bassezza l’animo umano può raggiungere, anche se nell’ultimo anno una vaga idea me la sono pur fatta. per converso non credo che patirei la tua mancanza nel caso sparissi, ipotesi che, detto tra noi, ti potrebbe solo rendere merito. ho scelto di dedicare a te l’ultimo post di questo anno -un anno doloroso e difficile per tanti versi, ma pieno di sorrisi e di speranza per altri- sperando di lasciarti confinata nell’immondo pattume, l’unico posto dove puoi essere finalmente regina.

martedì 24 dicembre 2013

il giro lungo della felicità. tempo di lettura previsto 1'10"

in queste ore una mia amica è in viaggio dall'etiopia e stringe a se' una bambina dal nome impronunciabile, sua figlia.
eravamo piccole assieme, bellissime seppur molto diverse: occhi neri e giganteschi io, azzurri e trasparenti lei, testa arruffata e scura io, seta bionda che le sfiorava il sedere, lei.
centinaia di foto ci ritraggono sorridenti, al collo laccetti e collanine di mille colori, costumi all'uncinetto, facce che affondano nei gelati (quello un poco più io, veramente)
stavamo sempre assieme e giocavamo con le bambole. e giocavamo a fare le mamme come tutte le bambine del mondo, fanno. signora la sua bambina cosa mangia, guardi il vestitino che le ho comprato, madonna mi fa disperare.
eravamo cinquenni, il mondo era il nostro, e soprattutto la certezza che un giorno quelle bambole si sarebbero trasformate in dieci, cento figli perfetti infilati in famiglie perfette.
a cinque anni non pensi che le cose possano andare diversamente, ti guardi intorno e vedi mamma e papà che più o meno si sorridono, che più o meno vanno d'accordo e dici, va bene, per me deve essere uguale. la felicità sembra così facile da essere afferrata e mangiata a morsi quando hai quei pochi anni lì.

poi la vita ti fa fare dei giri complicatissimi, dolenti, frustranti, che richiedono una buona dose di coraggio e di incoscienza. ti mette di fronte a delle scelte difficili da prendere, ti costringe ad attraversare dei dolori che mai avresti voluto ti venissero riservati. che mai avresti pensato di dover affrontare e che sicuramente non pensavi di meritare. però la cosa bella è che pure se ti tira dei colpi gobbi, questa vita, poi alla fine un fatto bello te lo regala. e anche se è innegabile che giocare alle bambole era molto più facile, ti trovi dopo trent'anni  e a fare i conti con una modalità tutta diversa di essere madre, con un'idea completamente differente di famiglia. surreale, complicata, ma non certo meno bella. sarà speciale il mio natale, il primo con una bambina perfetta con mille zii, sarà speciale il suo, il primo con una bambina color cioccolato, disorientata dalle grida e dall'amore immenso di una famiglia straordinaria. è vero, dei sogni coltivati da bambine non rimane che un ricordo lontano e impalpabilissimo, ma la vita è bella lo stesso.

sabato 7 dicembre 2013

tanto il telefono non squilla più. tempo di lettura previsto 3'01"


mia nonna mi racconta spesso un episodio che trovo agghiacciante: alla vigilia di quello che doveva essere il veglione della sua vita, lei, fantastica e giovanissima, fasciata nel vestito più bello della storia dei vestiti belli, velluto nero con lo strascico e non so quale specie di bestia ricamata con i cristalli, ha aspettato tre giorni e tre notti che quel criminale del marito -mio nonno- si degnasse di andarla a prendere. superate le 72 ore, rassegnata, stizzita, trucco sfatto e capelli irrecuperabili, tra le lacrime si spoglia, ripone il vestito -che finisce per diventare l'abito di scena di una cugina soprano al san carlo- e riaccoglie in casa, con lo stesso sorriso conciliante di sempre, naturalmente senza fare domande, il criminale di cui sopra.
l'avrò sentita mille volte questa storia e ogni volta si rinnova in me un senso di frustrazione incontrollabile, di dolore, di rabbia, e di odio per quell'uomo che le ha fatto un male così stupido e gratuito. ma poi dici va bene, erano gli anni '50, così andavano le cose, quella poi che doveva fare? se diceva una parola acchiappava pure i buffi. invece oggi.
invece oggi non è cambiato proprio niente. continuo a confrontarmi sul tema con amiche più o meno care, conoscenti, compagne di una sera, e tutte, ma veramente tutte abbiamo una storia simile da raccontare, più o meno madornale, più o meno patetica, più o meno incredibile. penso a P. decolletè da urlo, zigomi perfetti, che il giorno del suo 23esimo compleanno aspetta tutta preparata il ragazzo che la va a prendere, sto all'uscita di via cilea, dice, mò vengo. P. oggi ha 35 anni e si è persuasa che il vomero quella sera e sempre, patisce assai il problema del traffico, visto che del tipo manco più l'ombra. oppure a C. protagonista del più classico degli abbandoni, quello che avviene sull'altare tra la meraviglia dei presenti. e ancora a S. che non riuscirà mai più ad andare al cinema senza temere che tra primo e secondo tempo il suo accompagnatore di turno sparisca nel nulla per andare a comprare una coca. O a L. bella come il sole, intelligente, ironica, che dopo una notte di passione oggi è una bella giornata di sole ti va se andiamo a mangiare una cosa vicino al mare? sì dai, bello. stiamo a dicembre e L. ancora deve levare il pareo da dentro alla borsa. quanto a me, sto aspettando che il padre di mia figlia, venuto a conoscenza del lieto evento, mi richiami per parlarne, per decidere il da farsi. la creatura mò tiene quasi 5 mesi, ma forse il signore ancora non ha avuto modo di fare una ricarica telefonica. tralasciando i casi limite -che si rivelano in realtà meno limite di quanto si creda- la constatazione è amara: ci si ritrova belle e meno belle, giovani e vecchie, dolci e selvatiche, ad aspettare che quel telefono maledetto squilli, e, cosa ancora più grave, a trovare mille inappellabili giustificazioni per il suo silenzio e ad accogliere con rassegnata mollezza -come già mia nonna 60 anni fa-  un eventuale rientro. ma perchè? fiumi di inchiostro sono stati versati sull'argomento, fior fiore di scienziati sono stati chiamati ad illustrare le loro teorie, i salotti televisivi traboccano di maitre a penser, gli psicologi si sono fatti le meglio villette a roccaraso coi soldi che gli abbiamo posato sulle scrivanie, ma niente, non se ne viene a capo. oggi come mille anni fa questi signori si cioncano i ditini e ci precipitano nell'angoscia. deve essere un fatto cromosomico: escono le cure per le peggio malattie, spuntano i cocchi su marte, ma nessun siero miracoloso è stato inventato da iniettare a questi imbecilli a cui permettiamo di fare il bello e il cattivo tempo nei nostri cuori impavidi. lungi da me analizzare oltre dinamiche che chiaramente mi sfuggono e di cui, anzi, sono vittima. vorrei solamente abbracciare virtualmente tutte le mie -tante, tantissime- compagne di sventura e indirizzare un cordiale chitammuorto, a tutti i portatori sani di cromosoma y, nonno compreso.

lunedì 2 dicembre 2013

è sempre bello il giorno dopo. tempo di lettura previsto 2’34”

il giorno in cui la furia si calma, i nervi si rilassano, la tensione si allenta, le emozioni si assestano: ognuna prende il suo piccolo posto, ci si sistema così da sola, in attesa di essere al meglio assaporata, decifrata, compresa.
non è facile distinguerne i sapori, si va dalla meraviglia alla felicità, passando per la commozione; ma quella che più di tutte, si impone e mi travolge è la sorpresa dell’abbraccio caldo di chi ti ama, una stretta sincera, conciliante. e insieme la conferma di poter vacillare senza cadere, di potermi appoggiare e riposare un po’ sapendo che quell’approdo di amore è sicuro, non nasconde insidie, mi protegge dalle correnti e mi culla un po’, persino.
un mio amico mi ripeteva sempre ‘famiglia è ovunque ci sia amore’, e io che ho idee un po’ conservatrici, ho faticato ad abbracciare appieno questa affermazione. la famiglia, mi sono sempre detta, è fatta da una mamma, un papà, magari dei nonni, tutti impegnati a darsi amore e a darne, senza soluzione di continuità, al nuovo arrivato. è così che avevo sempre immaginato la mia di famiglia, ed era una delle poche cose che avevo ben chiara dentro di me, che sapevo di volere con certezza e determinazione, l’unica alla quale non avrei mai rinunciato.
ma non avevo fatto i conti con quello che la vita aveva deciso di presentarmi: un conto un po’ troppo salato per una ragazza che, in fondo, pensava di meritare solo un po’ di tranquillità e qualche carezza, ma che soprattutto pensava che carezze e serenità fossero dovute a un piccolo angelo che non ha chiesto a nessuno di nascere e che con rinnovata, incomprensibile felicità guarda ogni giorno il mondo intorno a se’ per assaporarne ogni brandello.
nell’ultimo anno questo è stato l’unico pensiero che mi ha tormentato straziandomi il cuore: non l’abbandono –che si è rivelato, alla fine, una meravigliosa liberazione, ma l’idea che lei, la mia piccola bambola perfetta, fosse respinta ancora prima di essere conosciuta, ignorata come se neanche esistesse, rifiutata come si nega l’avvento nella propria vita di qualcosa di orrendo e di infetto.
lei, troppo bella e troppo piccola per essere già oggetto di sentimenti così atroci. quanto orrenda io debba essere, mi sono chiesta negli ultimi mesi, perché mi venisse riservato un trattamento così sprezzante e perché questo odio cieco si abbattesse anche su di lei, una bambina inconsapevole e serena, che regala i suoi sorrisi sdentati a chiunque le si avvicini. il senso profondo di ingiustizia che ha segnato e segna tuttora questa vicenda non riesce a darmi pace e a più riprese mi impone di chiedermi dove ho sbagliato, perché è così difficile allungare una mano e fare quella carezza dovuta.
fino a che non arriva il giorno in cui di colpo ti giri e ti ritrovi nella tua piccola colorata casa accogliente, nuova che senti ancora l’odore di vernice e sei stordita dalle voci e dai sorrisi e dagli abbracci e ti rendi conto che tutti sono lì per te e alleggeriscono il tuo cammino, ti offrono da bere se sei affaticato ti fanno una carezza se sei triste. e in quei sorrisi e in quelle voci e in quegli abbracci trovi tutte le risposte e sai, finalmente, e lo sai con certezza granitica che non sei tu quella sbagliata e che esiste un’altra ipotesi di famiglia, quella chiassosa, promiscua, differente, fatta di mille amici sinceri prestati al ruolo di zii che non si stancheranno mai di quei sorrisi sdentati.
con queste righe voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a non cadere, e che ancora mi sorreggono con gli strumenti che hanno a disposizione. che danno senza chiedere, che non giudicano, che lavorano affinché il mio piccolo angelo senta ogni giorno, sempre meno il peso del rifiuto. alle mie amiche, che non mi abbandonano un attimo e sopportano stoicamente i miei sfoghi, a mia madre, che lavora senza sosta perché nulla ci manchi e subisce le mie inquietudini, ai miei familiari, tutti, che fanno cose piccole e grandi senza troppo clamore, a chi mi ha teso una mano, regalandomi la speranza di un futuro possibile, a mia figlia ai suoi sorrisi, alla sua perfezione che mi rende così facile amarla. e a chiunque sappia fare le carezze.

domenica 22 settembre 2013

un sabato qualunque. tempo di lettura previsto 3'32"

attraversati da una febbre che manco 'live at pompeii' ci imbarchiamo -io e un'altra manciata di disturbati mentali- per quello che si preannunciava, a ragion veduta, l'evento musicale dell'anno: lui ovviamente è gigione, il suggestivo scenario, il ridentissimo borgo di santantonioabbate che il noto motto popolare ricorda con 'sant'antuono ciente fessi e uno bbuono'. 
e ci metti giusto un attimo a capire perchè. 
dopo aver compiuto tutte le operazioni di rito (cena a base di panino con la salsiccia, acquisto delle fascette 'gigione tour') ci facciamo largo tra la folla per conquistare il sottopalco, ignari che, come per ogni eventone che si rispetti, fosse già occupato da tutto quel bel bouquet di carrozzine, stampelle, bambini di 95 chilogrammi, anziani che hanno perso gli incisivi nel 1978, pepp o 'o stuort, giggino 'o cecat', leggi 104 come se piovessero e tutta quella dolenza varia, che pure ti risolve una serata. 
dopo un'inspegabile intro jazz che ci scalda gli animi, il palco inizia ad accendersi: la prima ad aprire le danze è la dolce menayt, vagamente più morbida di quanto appaia nelle locandine, che ci ricorda -in rigoroso playback- il suo amore per il medio oriente con le note di sciarmelsceic, la nota località vacanziera già scenario della bella storia d'amore con un egiziano in cerca della cittadinanza italiana, diventato appunto, suo marito. 
segue, tra il delirio della folla, il cadetto della famiglia ciaravola, meglio noto come jo donatello che, unto come pochi, non esita ad incitare tutti i quattrenni presenti -che sono almeno il 30% del pubblico non pagante- a intonare con lui brani come 'ti piace il bombolone', ' leccalè', 'il gelatino', 'il calippo', un repertorio forse un po' monotematico, ma roba che 'il valzer del moscerino' a confronto, è per pivelli. 
non pago, il pubblico in visibilio gli richiede il suo brano più noto: 'pronto amore' un minuetto sentimentale in cui è impossibile non rintracciare l'influenza di luigi tenco. 
ed è proprio mentre l'untissima progenie scalda i cuori di tutti gli innamorati e le fiamme degli accendini salgono al cielo, che sento il mio respiro farsi più pesante, il petto affaticarsi, la gola stringersi. 
sarà l'emozione, mi dico.
chiedo aiuto a colui con cui ho la relazione più duratura di tutta la mia vita, il fido ventolin, sperando non mi deluda, come quasi mai negli ultimi trent'anni.
ma pure lui, si vede, comincia a voler prendere le distanze e anche nel suo reiterato utilizzo, non riesce a darmi il sollievo che cerco.
i minuti passano affannosi, e intanto sul palco è salito lui, the boss, camicia pezzata d'ordinanza e l'inseparabile berretto che non vede una lavatrice da almeno un lustro: è in una forma invidiabile per i suoi 65 anni, salta che manco mick jagger e infiamma un pubblico impazzito sulle note delle sue hit più famose, ascoltate, ama ricordare, in tutto il mondo.
ma si sa, il concetto di mondo è relativo, pure colombo si pensava che l'america era l'india, per dire.
in una raffinata alternanza di pezzi delicatamente equivoci, sentimentali, e rigorosamente mistici, gigione ci regala momenti di emozione pura, ma nulla riesce ad alleviare il mio bronco malato. 
sento che ho assai bisogno di un presidio medico di emergenza a caso, ma chi ce l'ha il cuore di intossicare la serata ai miei compagni di merende che intanto stanno pogando sulle note de 'la campagnola'?
attendo ancora qualche minuto, ma come già nella migliore tradizione dantesca, più che l'amor potè il digiuno (d'aria) e devo coinvolgerli, mio malgrado, nella ricerca di un medico o di un facente funzioni, che mi aiuti almeno a non camminare sui gomiti.
acchiappa la guardia medica, cerca la guardia medica, piglia la guardia medica, ci imbattiamo in uno scrupolosissimo medico, la cui mamma credo sia registrata su tutti i cessi degli autogrill della napoli-pompei che, incapace perfino di attaccarmi ad una bombola di ossigeno, ci manda direttamente a castellammare, ad appena 15 km di autostrada, immagino per verificare se io sia un umano o un replicante. 
ed è così che scopro che castellammare oltre ad essere nota per le gallette che mi davano da spugnare quando ho cacciato i denti, ha dato i natali ad uno dei piloti più spericolati del mezzogiorno isolecomprese.
in un tempo che stimo da record arriviamo al pronto soccorso dell'ospedale stabiese, che non solo - e per fortuna- si rivela struttura di eccellenza nella rianimazione, ma che a una rapida occhiata risulta reclutare il suo personale medico ai casting di centovetrine. 
quello che è successo nelle ore successive al mio ricovero, per fortuna non ho la facoltà di ricordarlo, ma i bene informati dicono che sembravo regan la figlia dell'esorcista e che all'acme del delirio, sia stata finanche pronunciata la frasona ad effetto 'passami la lama da 15'.
ma mi sono svegliata tutta intera, credo quindi che quella lama, servisse per sbucciare una pera. 
all'alba ho ripreso conoscenza con la mano stretta a quella di uno dei miei angeli custodi, mano, pare, prontamente lasciata per afferrare quella di un aitante medico che mi si parava dinanzi. 
io però questo fatto non me lo ricordo bene, quindi penso che sia una menzogna per screditare la mia persona.
quello che però mi ricordo è che ho chiesto, al mio rianimatore di fiducia -il suddetto aitante- se fosse sposato, maledicendo poi la sua risposta affermativa.
da quella piccola, cocente delusione, la strada è stata tutta in discesa: riprendo colorito, forze ed allegria, e fino al momento delle dimissioni intrattengo la mia compagna di avventura con amene storie di pesci (sì mamma, i frutti del mare).
ce la siamo vista un poco brutta, insomma, ma direbbe mia nonna: meno male che lo possiamo raccontare.
e comunque gigione, non ti pigliare collera, ma ti tengo un poco per malaugurio.

lunedì 15 luglio 2013

cambio (punto) vita. tempo di lettura previsto 2'03"

grazie perchè non so dove te ne stavi nascosta, ma per venire fuori hai aspettato l'estate più fredda degli ultimi venticinque anni, un mese di giugno piovoso come non se ne vedevano da secoli che mi ha lasciato pallida in mezzo ai pallidi, risparmiando tra l'altro le mie caviglie da una ritenzione idrica spietata.

e grazie anche per non aver stravolto le mie forme, già non propriamente gentili, così da farmi cullare, sempre e ancora, fino alla fine, da carezze, complimenti, cuori, abbracci caldi e premure.

grazie perchè mi hai insegnato il senso dell'attesa.

grazie perchè da quando sei entrata nella mia vita, nella forma di due asticelle rosse, nulla è stato più lieve che l'idea di te: indovinare i tuoi colori, immaginarti già grande, sperare che diventassi una piccola me -giusto un po' più elastica- e pregare perchè somigliassi il meno possibile al tuo restante cinquanta per cento.

grazie perchè ho comprato colori, tubetti, pennelli e non vedevo l'ora di rimettermi a giocare.

e grazie perchè ho tirato giù i miei vecchi giocattoli, roba avveniristica per gli anni settanta che solo mio padre sapeva scovare, li ho ripuliti, risistemati alla meno peggio ed ora sono pronti a rivivere con te una seconda vita.

grazie perchè riempirai le mie giornate, impedendomi di sentirmi sola, e mi regalerai una scarica di ormoni tale che mi consentirà di giustificare, per i prossimi mesi, lacrime, turbamenti, occhiaie, musi lunghi.

grazie perchè sarò la prima persona a cui sorriderai e mi farai sentire, per la prima volta nella vita, davvero importante per qualcuno.

grazie perchè avrò finalmente qualcuno a cui raccontare storie di gatti e mucche e topolini, comprare oggetti inutili, cucinare dolci a forma di animale.

grazie perchè il tuo arrivo nella mia vita è stato un severo spartiacque: ha separato in maniera chiara i buoni dai cattivi, ha fatto naturalmente fuori chi per me non aveva rispetto, e avvicinato chi invece ha letto tra le righe della mia paura, della mia solitudine, della mia tristezza, accogliendo il mio dolore e soffiando sulle mie ferite. 

grazie perchè la mia mamma, dopo tanti mesi, è tornata a sorridere.

grazie perchè ho potuto andare in giro con serenità, sentendomi finalmente parte di qualcosa, senza provare invidia per le belle ragazze con i bei pancioni, ma solo per quelle belle, coi pancioni belli e un compagno premuroso accanto.

grazie perchè ti aggrapperai al mio collo e per te sarò tutto e avrai bisogno di me come mai nessuno prima, e mi farai sentire finalmente speciale. e grazie anche perchè potrò plasmarti come legno d'acero, insegnarti le cose più belle che conosco ed impararne ogni giorno di nuove, grazie a te.

grazie perchè finalmente tutte quelle borse e quei gioielli e quei vestiti, un giorno saranno di qualcuno che forse le troverà orrende.

grazie perchè sono ancora più forte, adesso, e potrò pensare di essere madre non più solo di un gatto, ma anche di una creatura in carne ed ossa. e grazie perchè smusserai le mie intemperanze, rafforzerai la mia pazienza, mi imporrai la tolleranza questa sconosciuta, e mi aiuterai a diventare grande un po' alla volta.

grazie perchè hai dato un senso alla mia esistenza disordinata, un indirizzo preciso, che mi aiuterà a rispondere con appagamento e gioia e infinito orgoglio a chi mi chiederà cosa faccio nella vita.

grazie perchè nella solitudine del rifiuto mi stai insegnando ad essere dignitosa e fiera, senza però avere vergogna di chiedere aiuto, e grazie perchè finalmente potrò canticchiare il motivetto di peppa pig senza sentirmi una perfetta idiota.

grazie perchè sarai bellissima e perfetta e diventerai in ordine sparso presidente della repubblica ma anche premio strega, artista pluripremiata e campionessa di pattinaggio e tutta la mia vita avrà significato qualcosa, comunque. 

e infine grazie perchè anche io per te sarò bellissima e perfetta, almeno fino a quando non avrai capacità di discernimento. ma per fortuna ci vuole ancora un po' di tempo, per quello.