giovedì 23 gennaio 2014

sole. tempo di lettura previsto 3'11''

è la prima notte in casa da sole.
quella casa piccola, accogliente, colorata come un gelato, che per tanti anni ho disegnato con la matita della mia immaginazione e che ora ha finalmente una consistenza, un odore di pittura che andrà via solo coi mesi, spazi stretti ma allegri, un armadio ottimisticamente sottodimensionato per due donne.
perchè non lo sai ancora, ma prima che si possa far tempo a crederlo sarai una donna: insisterai per metterti un orribile smalto rosa sulle unghie, avrai un diario al quale racconterai i tuoi piccoli enormi segreti e mi odierai, esattamente come tutti i figli odiano le loro madri, esattamente per le stesse ragioni.
ma finchè la pelle del tuo colo soffice profumerà di borotalco, fino a quando ti addormenterai stringendo un dito della mia mano, fino ad allora mi cullerò nella bellezza di un tempo fermo, sospeso, silenzioso come la nostra casa stanotte. un tempo che ci avvolge e che ci abbraccia, noi due, noi due sole, come quando galleggiavi nuda e perfetta dentro di me e io ti custodivo fiera, senza smettere un attimo di chiedermi quanto bello saresti stata. e lo sei, sei bellissima: lo dicono i tuoi sorrisi larghi e sinceri, quei sorrisi che regali a chiunque senza distinzione di età, sesso, razza. sei felice. che tu possa esserlo sempre figlia mia, che mai nessuno osi strapparti via la gioia di vivere.

dovevi chiamarti viola.
una volta ho letto un libro in cui la protagonista ci chiamava così la figlia, per regalarle dello strumento musicale tutta la grazia e la forza, l'eleganza e la resistenza. mi piaceva questa storia, ma poi è arrivata una gatta prima di te: quella gatta che ti diverte moltissimo veder saltare giù dai mobili, il cui pelo accarezzi sorpresa, i cui occhi metti in serio pericolo ogni volta che ti ci avvicini. e invece ti chiami susanna, come tua nonna, ma devo dire che anche questa storia non mi dispiace affatto: hai il nome di mia madre e il cognome di mio padre, sei una sintesi sublime di amore, quello che mi ha visto nascere, e hai tutto quello che ti serve per provare ad essere felice.

il silenzio si è interrotto: una vicina anziana ma gentile, di cui non ricordo mai il nome ha appena acceso la tv. con un orecchio cerco di capire cosa stia guardando, con l'altro sono concentrata sul tuo respiro pesante reso più faticoso da quel ciuccio di gomma da cui non ti separi mai. mi muovo come un gatto per non far rumore in questa casa senza porte: una scelta da me fortemente voluta ma che solo ora, mentre ho paura di interrompere il tuo sonno giusto anche solo sfogliando le pagine di un libro, si rivela con tutti i suoi limiti.
ecco, ti ho dato un'altra ragione per odiarmi: per tutte le volte che rientrando a casa la sera non potrai fare a meno che io senta il rumore dei tuoi tacchi troppo giovani ed arroganti, per tutte le volte che sarai costretta a farmi ascoltare il contenuto delle tue telefonate, per tutte le volte che prima di uscire non potrai passare le ore a provarti mille vestiti davanti allo specchio. che tu neanche ce l'hai uno specchio.

tua nonna è ottimista, dice che tra una manciata di anni cambieremo di nuovo: che da qualche parte ci aspetta un uomo buono ed accogliente, una casa con delle porte, domeniche serene, passeggiate in campagna, tante risate. 
io non lo so che cosa ci riserva il futuro, ma so che vorrei avesse sempre l'odore di questa notte, di vernice fresca, di lenzuola chiuse per mesi negli scatoloni, del tuo collo, di crema per il viso, del tè bollente che ancora sto sorseggiando mentre ti scrivo dalla tazza di un noto caffè torinese, dei ricordi, della fiducia, dell'emozione di questo ventre di mattoni e calce che ci avvolge entrambe e ci culla e ci proteggerà fino a quando là fuori, da qualche parte, sboccerà una primavera tiepida incontro alla quale andremo senza paura.