lunedì 19 marzo 2012

n.4: l'invidia. tempo di lettura previsto 1'24"

‘ti dico solo che è incinta perfino francesca’.
quel ‘perfino’ sembra restituire uno certo sprezzo, e in effetti.
così la mia amica, al telefono.
non ci sentiamo con continuità, ma ci vogliamo bene.
io so che lei c’è, lei sa che io ci sono, in qualche modo. non parliamo tantissimo: lei è molto riservata, io decisamente meno. ma in fondo non servono tante parole per amarsi e capirsi.
e noi in questo ci siamo sempre profondamente comprese, identificate direi, sovrapposte: per anni abbiamo pensato che avere un figlio fosse una specie di privilegio, un premio.
e che solo le ragazze sveglie, simpatiche, carine come noi potessero godere di questa felicità, meritare delle pance belle tonde che tutti guardano e accarezzano, passeggini da spingere stancamente, aneddoti  da raccontare, quantità industriali di pannolini da comprare, foto da scattare, favole da inventare, disegni da colorare.
e invece non sempre va così e la cosa bella dell’essere amiche, è che non hai vergogna di piangere e di arrabbiarti e di confessare che sei livida di invidia per tutte quelle che questa felicità ce l’hanno mentre tu no.
sì, perché l’invidia sarà anche un sentimento orribile e pernicioso e che semina sozzura in chi lo nutre, ma esiste: è un dato. ed è umano provarlo. e quando vedi che la cosa più normale del mondo capita a tutti e a te no, bhè, cazzo, lo provi, eccome se lo provi.
e fa malissimo. perché ti senti cattivo, provi a convincerti che in fondo c’è un altro modo per vedere la cosa, ma alla fine la tua mente va sempre lì: perché non te lo spieghi. perché sei arrabbiato e deluso, perché un po’ di quella normalità sana la vuoi anche tu e non capisci perché ti venga negata. 
oggi è la festa del papà. e forse non è un caso che questi pensieri vengano a galla proprio in queste ore. perché non mi sembra di vedere altro che bambini che si esaltano per dei lavoretti orrendi fatti coi tappi di sughero o con le mollette, adolescenti che investono magra parte delle loro paghetta per comprare dei libri impossibili che i loro papà non leggeranno mai, mamme che riparano a distrazioni e sciatterie con scontatissimi regali last minute. e penso non solo, che con ogni probabilità non sarò mai una di quelle mamme, ma anche che sono stata uno di quei figli per troppo poco tempo. che ho fatto pochi lavoretti, comprato pochi libri, costretto mamma a riparare troppe poche volte.
e anche questo mi fa male. di quei mali che ti soffocano, ti levano il respiro non lasciandoti neanche la forza di gridare. ma solo di mandare giù.
e ancora mi chiedo perché. perché a me, a noi. e invidio quei bambini e quelle mamme. e tutti quelli che possono ancora chiedere aiuto al loro papà e raccontargli la giornata come è andata, ascoltarne un consiglio, lamentarne un difetto.  invidio i natali e le lauree e i momenti solenni e le vacanze e le passeggiate e le fotografie e i litigi e i pranzi e le gite e le lezioni di guida e i divieti e i rimproveri e i libri e gli abbracci. invidio questa normalità, insomma.
io invidio e non ho vergogna.