sabato 25 agosto 2012

flatmates. ovvero meglio soli. tempo di lettura previsto, 3'26"

la prima cosa che mi è stata detta entrando in questa casa è stata 'vedi, qui è tutto ordinato, pulito. sai, paolo ci tiene molto'. il che unito alla carezza dorata che mi regala la luce riflessa sul parquet di una stanza gigante, mi fa dire 'sì, dai. è lei'.
pensavo che dopo l'esperienza nella casa delle blatte, nulla poteva essere peggio. ma sottovalutavo la nuova compagine di coinquilini che mi attendeva al varco.
ma anzi: magari mi avesse atteso. avrebbe significato entrare in una qualche relazione minima con la gente che ciabatta in questa casa fatiscente, condividere con loro un pensiero, una porta che sbatte, avrebbe significato una vita di comunità, insomma. invece zero assoluto.

io però ero partita bene: ingenua come candy candy volevo fare amicizia con tutti all'inizio. giuro. mi immaginavo grandi feste, tavolate, dai organizziamo una cena che ognuno prepara qualcosa, scusa mi presti il phon? dai, stai meglio con la maglietta blu, cose così.
ma lo dovevo capire da subito che le cose non sarebbero andate così, come nel mio piccolo mondo delle meraviglie me le ero immaginate. più precisamente da quando chiara, una biondissima ligure con la bocca piccola piccola tipica della cattiveria, due gambe stecchite su un tronco dalla forma della busta del latte e pure un poco di gobba, mi fa: 'ma dai, vieni da napoli? senti, ma è vero che a napoli esiste la camorra?' e poi, non paga: 'sai, al mio paese  ogni mese fanno un mercato e c'è sempre un napoletano con un furgone che vende le borse false della camorra, io e mamma ci andiamo sempre, ma di nascosto, sai'.
purtroppo non ho avuto la prontezza di ricordare a questa brillante promessa dell'ingegneria meccanica che il comune di ventimiglia, il suo paese, appunto, è appena stato sciolto per infiltrazione mafiosa. 
ma chiara, poverina, vive in un mondo tutto suo: è un piccolo universo fatto di maggiordomi, biscotti plasmon, arroganza, scarpe jimmy choo, e una madre che per convenzione chiameremo 'il capò': un femminone di due metri, faccia cavallina che denuncia tutti i suoi anni, corpo tonico, energico, un fascio di muscoli, ma di quelli che ti fai solo lavorando sodo. pensati il povero capò che colpo a vedersi davanti questa figliola a forma di boiler. e che infatti, la sua attività preferita dopo il ramazzo è vessare la piccola chiara, costringerla a diete improbabili -per esempio mangia barbabietola tutti i giorni, si pesa gli spicchi di mandarino dopo aver tolto i semi- comprarle abbigliamento tecnico per il jogging, farle leggere riviste tipo 'star bene' o 'donna moderna'.  ah, e naturalmente ricordarle di chiudere la porta di camera sua a chiave perchè in giro 'stanno i napoletani'. anni e anni di questione meridionale buttati nel cesso.

al secondo posto della mia hate list c'è jesus.
lo so nonna pare brutto dire 'io odio jesus', ma invece sì. pure lui era partito benino, dava quel tocco di esotico alla casa con tre forchette: costaricano, istruttore di discipline aeree alla scuola di circo, famiglia di musicisti, cuore grande da vegetariano, uno di quelli che dice sempre buongiorno e buonasera.
ci sono volute poche settimane per capire che quello che si celava dietro la gentilezza  e i belati era in realtà una montagna di malafede, furbizia, disonestà e zozzimma. avesse mai lavato una forchetta che fosse una, senza esservi costretto con la forza, o pulito il bagno o la cucina, o passato una pezza per terra. ma mai. per non parlare della roba sparita dal frigo, dei saponi dal bagno. e che cazzo, compratelo un bagnoschiuma. fatto il cattivo servizio, però, lo scaltro jesus sente il fieto del miccio e si gioca la carta mariadefilippi: 'mi manca tanto il mio paese, che bello avere la mamma vicina che ti coccola, non ho soldi per pagarmi il dottore'. e intanto mi fotto i biscotti dalla dispensa. jesus, ma tu l'hai capito che io vengo da napoli, o no? a chi vuoi pigliare per il culo? per fortuna se ne è andato per sempre, lasciando le bollette da pagare, boli di polvere sotto il suo letto e pentole incrostate.
il bronzo va a paolo. ma solo perchè lui in casa ci sta solo il week end, intendiamoci. ho idea che se me lo fossi visto tra i piedi tutta la settimana, si sarebbe battuto per un bel secondo posto. paolo è il titolare del contratto di fitto. è un ometto triste, uno di quelli che ti immagini che all'asilo già sembravano vecchi, potrebbe avere trenta o settantadue anni, come i giapponesi, non riconosceresti la differenza. non a caso porta gli occhiali con la montatura dorata, do-ra-ta,  e un pigiama viola con dei panda. vagamente rattuso, parla solo di lavoro e di soldi e sta lì a fare conti, piegato sui suoi fogli, concentratissimo, non sbaglia un calcolo. e devo dire che pure lui in quanto a pulizia non scherza: non gli ho mai visto lavare le lenzuola di un lettino nel quale dorme, anche a 38°, col trapuntino e il pigiama lungo. non me lo voglio neanche immaginare sotto a quelle coperte che ci sta. e paolo sarebbe quello che ci teneva che tutto fosse sempre pulito? stabbene.

ovviamente da questa casa degli orrori tra una settimana, finalmente, me ne vado, dopo sei mesi di puntuali imprecazioni. ma il sugo di questa storia rimane triste: parti che ti vuoi fare una braciata in terrazzo, finisce che ti nascondi la carta igienica nell'armadio per paura che qualcuno se la fotte.