venerdì 17 febbraio 2012

sette giorni, sette tempi. tempo di lettura previsto 3'12"


Sabato, LA NEVE.
è lirica, soffice, bella da fare male.
al mio arrivo la città ne era piena, poi ha iniziato a sciogliersi e adesso quella coperta bianca e densa si sta trasformando in una roba grigia e fangosa ammonticchiata sui marciapiedi. 
però ho avuto il tempo di affondarci le mani (coi guanti di lana!) e i piedi, opportunamente più coperti.
è una sensazione bellissima, come quel gioco che facevamo da bambini che dovevi mettere le mani in quel riquadro chiodato e poi il negativo ti restituiva la forma. è strano come una cosa così fredda possa essere al tempo stesso accogliente e invitante, forse perché sembra panna.
comunque quando poi diventa ghiaccio, occhio che si scivola.

Domenica, ROBERTO.
roberto –altrimenti detto gargamella- è quella creatura mitologica mezza uomo mezza scherzo della natura, che da grande vorrebbe fare l’albergatore.  dico da grande perché la strada è ancora lunga, diciamo.
affitta le stanze di una che un tempo deve essere stata una casa normale, adesso è tipo un cesso.
e’ un uomo grigio: capelli –pochi- grigi, occhi grigi, pelle grigia, denti e gengive grigi pure loro.
è sempre  vestito con molti strati di indumenti, nonostante la temperatura caraibica degli interni torinesi. è invadente, allunga sempre l’occhio nella stanza quando apro la porta, vagamente molesto, poco brillante, usa un detersivo, ottimo, che si chiama ‘nonna papera’.
ci tiene a farmi sapere che si è fatto diversi interventi al cuore, ma se continua a fumarsi due pacchetti di marlboro al giorno, secondo me le vene si appilano di nuovo.
pensava che da napoli gli avevo portato ‘una bella pastiera’, ma non ho capito perché.

Lunedì, LE CASE.
in principio fu una stanza orrenda, partorita credo dalla mente di un serial killer, ma più probabilmente di roberto stesso. levato un armadio azzurro che, seppur basculante, ha di un armadio tutte le fattezze, quel che ne resta è una tenda di broccato color senape, arricchita con velluti e passamaneria preziosa che dialoga con una scrivania di plastica, un lume a pinza, una rosa di plastica poggiata su una mensola irraggiungibile, un tappetino da bagno, una tv che non si accende e una parete sulla quale è rappresentato –tempera su intonaco- tutto il sistema solare: c’è venere, giove, saturno coi suoi anelli, la terra, il sole appunto, nettuno –naturalmente tutti collocati senza un minimo di verosimiglianza scientifica. 
e poi fu ‘magenta’: economico, centrale e soprattutto violetta friendly.
sopportabile se si levano i poster di pamela anderson dai muri e i pisellini dell’albero di natale da sopra la porta.
in mezzo monica l’estetista, ficcata in culo al mondo, mansarde ai limiti della umana vivibilità, e marco, avvenente punkabbestia dottorando in filosofia morale.

Martedì, IL LAVORO.
“buongiorno”
“buongiorno”
“ha la carta più signora?”
“grazie”
“sono 10 euro e 50. sulla carta ha un credito di 2 euro e 30 centesimi, defalchiamo o continua ad accumulare?”
“continuo grazie, tanto ho tempo fino a marzo, no?”
“certo, fino al 30 marzo. le occorre un sacchetto di carta a 5 centesimi?”
“sì grazie”
“sono 10 e 55, ecco a lei signora grazie e buon pomeriggio”
“grazie a lei e buon lavoro”

Mercoledì,  LA SOLITUDINE.
dice che stando soli si cresce, ci si conosce meglio, ci si confronta con se stessi e si impara a fare –e gustare-le cose che prima facevi solo in compagnia, tipo andare al cinema, scendere apposta per prendersi  un caffè, sedersi a un tavolino di un bar, visitare una mostra, andare al ristorante.
a me veramente sembra che a stare soli si sta soli e basta, e non so se è così bello, soprattutto quando non sei esattamente la compagnia che sceglieresti per un’avventura, ma tant’è.
però ho trovato un posto bellissimo, vicino a piazza castello dove mi piace sedermi e leggere il mio libro.
lì pure sono sola, ma riscaldata dal caffè americano, i cataloghi di arte sulle mensole, il sorriso gentile delle cameriere, il passeggio oltre il vetro, gli sguardi incuriositi dei clienti.

Giovedì, I TORINESI.
se sono falsi ancora non lo so, però sono cortesi.
ed educati, soprattutto. civili. cioè che tipo ti dicono grazie e prego, ti cedono il passo, ti tengono una porta, si fermano sulle strisce anche solo se sospettano che tu voglia attraversare la strada, non pazzeano con la suoneria del cellulare, non gridano, non sporcano, hanno rispetto per la cosa pubblica.
sono anche mediamente accoglienti.
a differenza di quanto mi aspettavo le donne non sono molto ricercate: non ne ho vista una che avesse una manicure impeccabile, una piega fresca, un gioiello bizzarro, una borsa da urlo. nulla. e gli uomini pure non sono tutta ‘sta favola: levato roberto, voglio dire, e qualche raro esempio vichingo, girano tutti con la testa infilata nel cappotto, un po’ cupi.

Venerdì, LE AMICHE.
vecchie, giovani, giovanissime, sagge, pedanti, stupide, divertenti, vicine, oltrefrontiera, oltreoceano.
dopo la gatta sono la cosa che mi manca di più. il loro sorriso, il loro calore, il loro affetto.
pensare che tanto è giovedì e allora ci vediamo? faccio un salto al vomero ci prendiamo il solito caffè? devo andare in centro mi accompagni? insomma, loro.
mi hanno accolta, capita, sorretta, aiutata, protetta.
hanno asciugato le mie lacrime e condiviso le mie gioie.
hanno raccolto i miei sfoghi notturni, mi hanno accompagnato in attese interminabili, ospitato a cena anche  quando non avevano niente per cena.
lenito la mia solitudine.
ascoltato le mie paturnie, rispettato il mio dolore, sorriso alla mia contentezza, scacciato le mie paure, pagato le mie consumazioni, spesso -direi sistematicamente- riaccompagnato a casa. 
ma tanto torno, eh.