sabato 11 febbraio 2012

maledetto treno. tempo di lettura previsto 2’03”


mi piace prendere i treni. 
arrivare sulla banchina e accorgermi puntualmente che la mia carrozza è l’ultima,  salire sempre col dubbio che forse il biglietto lo dovevo timbrare anche se me  l’hanno detto mille volte che l’alta velocità quella no, percorrere il corridoio buttando un occhio a destra, un occhio a sinistra,  alla ricerca del posto, nella speranza che l’unico viaggiatore all’apparenza  alfabetizzato mi sieda di fronte, o almeno nei pressi.
analizzare le facce dei viaggiatori, il loro bagaglio, decifrare i loro vestiti per provare a capire dove sono diretti: se si muovono per amore, per lavoro, per piacere. 
e poi le confezioni di polistirolo, perfette, inequivocabilmente foriere di cibi sani, latticini che raccontano la nostalgia della casa e la speranza di ritornarci, meno frequentemente boccacci con le melanzane sott’olio, che quello il vetro si rompe.
i portatori sani di mozzarelle di bufala di solito sono gli stessi che alla via di mezzogiorno cacciano dalla tasca un panino gommoso accuratamente avvolto nella stagnola, ma nello scottex prima.
non ho mai capito il perché di questa blindatura doppia: la carta argentata conserva la fragranza del pane , i fazzolettini, viceversa, lo ammosciano, ma comunque.
indossano quasi sempre tute acetate, scarpe da ginnastica orrende, occhiali che nonostante montature audaci , ahiloro, non elevano, e sono abbastanza rumorosi.
prima di affrontare il mezzo sfilatino galbanino e cotto, di solito sfogliano la rivista di trenitalia -la pubblicazione più inutile nella storia delle pubblicazioni inutili- o, quando va bene, un corriere dello sport o quello rosa, sempre di pallone, come si chiama? la gazzetta dello sport, mi pare. nessuna lettura che impegni per più di mezz’ora, comunque, e così a cinquanta minuti dalla partenza del treno il portatore sano ha già esaurito tutto il suo corredo di intrattenimento. finalmente può passare a giocare col cellulare, e compiacersi del suo bouquet di suonerie.
la versione femminile del mozzarelliere, spesso è una ragazza di venticinque anni, può darsi carina, ma  si erde in un accento poco generoso  e in letture tipo ‘dipiù’ o ‘vero’. se sta con la mamma può scapparci anche un ‘gente’, forse.  indossa quasi sempre vestiti inadatti al viaggio, tipo un tacco dieci che complica in maniera  esponenziale tutte le operazioni di salita e discesa dal treno. di solito ha una borsa gucci o vuitton portata tipo come una flebo, e unghie pornografiche.
ma siccome è vero che le femmine sono fortunate e hanno sempre più scelta a disposizione, pure la viaggiatrice mozzarelliera ha una versione alternativa, quella ‘fiore che cresce nel cemento’: spesso è grassoccia, ha diversi strati di vestiti addosso, molti orecchini, i capelli tagliati nel cesso di casa e legge roba beat. l’accento però, resta, e anche il panino.
poi ci sono quelli che leggono, studiano sulle dispense rilegate- spesso cose di medicina , lavorano immersi nei loro tablet , fanno parole crociate difficili, o solo quelle facilitate. preferisco i primi. e di solito una signora un po’ in là con gli anni, fresca di piega, che tipo sta andando a visitare una sorella, un figlio, dei nipoti, e va trovando di parlare con me, ma io non.
il mio personale viaggio della speranza verso la capitale operaia è stato accompagnato da uno che ha dormito tutto tutto il tempo in condizioni che definirei eroiche per la sua cervicale e un triste signore impegnato nella lettura di ‘romanzo criminale’, ma in cinque ore l’ho visto sfogliare sì e no due pagine. quindi secondo me, bluffava.
e poi la squadra della nocerina, proprio tutta, pure i supporter, che andava a torino per non so che trasferta. i loro colori sono il rosso e il nero, infatti all’inizio pensavo che c’era una partita del milan –sveglia, eh?- e insomma, questi aerobici rappresentanti della provincia campana hanno accompagnato il mio viaggio con cori frizzantini strillati con un accento impossibile e vocali aperte ai limiti della slogatura mandibolare, vino rosso, salame e partite a scopone scientifico. e pure loro i panini, comunque.
tutto in una freccia rossa diretto a torino, alla ricerca di qualche risposta. 
nelle orecchie i baustelle, fuori dal finestrino, lo spettacolo struggente della neve.