mercoledì 23 novembre 2011

FATE PRESTO. ma anche no, che sotto la pelliccia della nonna si sta caldi caldi. tempo di lettura previsto 2'05"

quella del 23 novembre 1980 è stata la notte più bella della mia vita.
lo so che detto così sembra brutto, perché in realtà sono stare ore e settimane e giorni di morte e disperazione, ma io no.
noi , no. ‘noi’ sarebbe tutti i bambini che abitavano nel palazzo di via pietro castellino, ed eravamo assai: francesco, barbara, giuseppe, gianluca, marilena, carletto, dario, gabriella, e poi altri, ma che tanto non ci giocavo quindi non fa niente.
ah, e poi c’era kriss. cioè kriss era il cane di peppino, un pastore tedesco mite come un ovino, ma un compagno di giochi insuperabile.
insomma  io non so che stavano facendo tutti i miei cumpagnelli quando ci fu la prima scossa, quella delle sette e qualcosa –ma secondo me, si stava tutti più o meno alle prese con le attività domenicali di quattrenni medi,  tipo i compiti che non hai finito perchè  hai guardato i cartoni tutto il giorno, non mi voglio mettere il pigiama, ‘mamma ho fame’, cose così.
io personalmente stavo sotto all’acqua, mamma mi stava facendo lo shampoo.
perchè a dispetto di una fisicità non esattamente gracile sono stata sempre assai cagionevole di salute e quindi mi era negato il bene di un bagno ‘che pigli freddo’, e mi lavavano a pezzi.
e alle 19.35 di quel 23 novembre era il turno della testa.
il momento della scossa non me lo ricordo esattamente, anche se non posso negare che negli anni il pensiero delle piastrelle del bagno mi sia tornato spesso in mente.
 proprio me le rivedevo sotto agli occhi, ma secondo me il trauma è perché erano brutte: grigio perla, un decoro tipo tamponato, una rosa al centro. ‘o cess, appunto.
però mi ricordo bene mamma che gridava ‘oddio guido il terremoto, oddio oddio’ e papà che -come se il fatto non era il suo- elaborava un ordinato piano di evacuazione.
e poi mi ricordo lo sgabello di peppino, quello blu con tutta pittura scrostata dove mamma mi mise a sedere, davanti  al portone del palazzo, per finire di asciugarmi i capelli che sennò n’ata vota ‘a brunchite, n’ata vota ll’asma.
infine la macchina di qualcuno, le pellicce, una busta di piselli da sbucciare, i miei amichetti e le storie di fantasmi che ci siamo raccontati quella notte.
vabbè notte, saranno state le nove di sera, ma volete mettere l’emozione di una roba del genere?
strappati alle attività domenicali, al riparo dal male, infilati tutti in una macchina mentre intorno il delirio, liberi di poter fare e dirci cose che mai, mai a quell’ora,  mai al buio, mai con quella complicità.
senza cogliere il terrore intorno a noi ma solo la vertigine.
e poi, appunto, avvolti in queste benedette pellicce che non so perché ma qualcuna delle nostre mamme dovette pensare essere fondamentale mettere in salvo, forse per affrontare la variabile ipotermia, forse perchè quando hai paura fai qualsiasi cosa.
ah, e poi c’è la storia dei piselli. io mi ricordo nettamente una busta verdina, di quelle grandi che puzzano di petrolio piena di piselli freschi da sbucciare. ma forse questo è proprio frutto della mia fantasia, perché dice che la stagione dei piselli freschi è la primavera, ma tant’è.
che notte quella notte.

15 commenti:

  1. e il giorno dopo ci ritrovammo tutti in azienda, meravigliati che stesse ancora in piedi.

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  2. per asciugare quella testa enorme ci sarà voluto il tempo di almeno un altro paio di scosse di assestamento...

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  3. mi rincresce farle notare, gentile signora, che la dimensione del cranio e la distribuzione dei bulbi piliferi, non sono strettamente collegate.

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  4. Bello.

    Io mi ricordo bene, invece, quel minuto e passa. Ero più grande di un po' di un quattrenne medio e stavamo a casa con le zie e le mie sorelle e mia mamma e mia nonna. Tutte femmine, io l'unico di genere maschile, anche se cucciolo. I papà stavano giocando a carte qualche palazzo più lontano, da altri parenti.

    Mi ricordo benissimo che quella domenica il Napoli giocò a Bologna e mi ricordo il teatro delle marionette che avevo costruito con tanta fatica insieme a zia Maria. Lo poggiai sul davanzale esterno della finestra (abitavamo al quinto piano) per far asciugare la colla. Non l'ho mai trovato, un cruccio che mi porto dietro.

    E mi ricordo il pavimento che ballava come in quella giostra della paura all'Edenlandia, io che urlavo a Gesù che ero troppo giovane per morire e la fuga per le scale. Poi mio padre che afferrava me e mia sorella fuori dal palazzo e mi portava lontano.

    La nottata in macchina, il freddo, la paura delle scosse di assestamento e mio padre, vero eroe, che si fece di nuovo i cinque piani per andare a prendere le coperte per la notte e chiudere la porta di casa che nessuno, ovviamente, durante la fuga precipitosa aveva pensato di serrare.

    PC

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  5. effettivamente bastava avere qualche anno in più e dunque un po' più di consapevolezza, per cogliere tutta la paura e il panico che in quelle ore imperversava in città.
    credo di essere stata fortunata per questo, preservata dagli incubi, mi cullo solo in un ricordo divertente.
    i papà che eroi, sì!

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  6. Io me la ricordo la scossa e ricordo mia nonna, con la quale vivevo che mi diceva di non dare calci alla sedia, ma non ero io, quel piede inquieto era il terremoto. E ricordo mio nonno, uomo dolce, forte e elegante prendermi per mano e portarmi al sicuro, sotto il muro maestro e poi giù per le scale, ma non senza essersi messo prima il suo Borsalino. Poi seguì una lunga notte fatta di incontri e racconti, ma non di paura. La solitudine fa paura e quella notte nessuno di noi era solo.

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  7. è vero felix...per assurdo che possa sembrare, c'era molta energia nell'aria, molta allegria.

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  8. Anonimo ha detto...
    Io menarcai. Ciao.
    S.

    penso che ADORO <3

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